Universi documentari

 Susanna Giaccai, Universi documentari,
in "Leggendaria", n. 30 , dicembre 2001

 

Se una giovane ricercatrice volesse avere un panorama degli archivi delle donne esistenti in Italia per decidere come impostare la sua ricerca, sicuramente comincerebbe, seduta al proprio tavolo di lavoro, a navigare su Internet.

Se si tratta di una giovane abituata a fare ricerca saprebbe infatti che ci sono ormai centinaia di cataloghi in linea di biblioteche nei quali, senza spostarsi dal suo tavolo, puo’ effettuare una accurata ricognizione della bibliografia necessaria al suo lavoro. Le sarà spesso capitato, navigando nei siti universitari americani, di vedere l’elenco dei molti archivi di donne depositati in quelle istituzioni; in alcuni casi, incuriosita, sarà andata a guardare più attentamente ed avrà visto che a volte è possibile anche raggiungere il singolo documento: vedere la foto di un corteo di suffragette o leggere una lettera di Susan B. Anthony ecc.

É naturale quindi che nel momento in cui questa giovane volesse avere una idea degli archivi delle donne disponibili in Italia, inizi la sua ricerca navigando su Internet. Ma avrà una spiacevole sorpresa. Archivi italiani di donne in linea ne troverà forse poco più di una decina ; e di questi archivi riuscirà solo a sapere, in modo molto sommario, il tipo di materiale presente; in qualche raro caso vedrà i fondi disponibili, ma mai avrà la possibilità di scorrere un inventario né tantomeno accedere ai documenti.

Se è una giovane donna intelligente, si chiederà il perché e scoprirà questo:

Le biblioteche hanno iniziato ad utilizzare l’automazione gia’ negli anni ’60 (in Italia dagli anni ’80) dato che l’informatica era allora impostata per la memorizzazione di grandi quantità dati e il catalogo di una biblioteca ben si adattava a questa struttura. Ben presto hanno anche deciso di creare degli standard per potersi scambiare i record bibliografici.

La situazione degli archivi era molto diversa. Gli archivi sono il sedimento della attività di un ente o di una persona; sono per loro stessa natura contenitori di oggetti unici. Quindi non si poneva per loro l’esigenza di standardizzazione. Inoltre l’automazione dell’epoca non era in grado di adattarsi alla struttura degli archivi: essi sono logicamente e fisicamente organizzati in fascicoli, serie: ogni documento (lettera, atto amministrativo, appunto) assume un significato solo se letto contestualmente ai documenti che gli stanno a fianco ed alla serie ed al fascicolo che lo contiene.

Così quando Internet si è sviluppata, mentre le biblioteche hanno messo, quasi subito, in linea i loro cataloghi, gli archivi sono comparsi in rete solo con informazioni generali (sede, orario ecc.) e al massimo con elenchi di fondi o inventari sommari. In questi ultimissimi anni invece lo sviluppo tecnologico, spinto al massimo dall’esplodere della società dell’informazione e dall’esigenza divenuta impellente di facilitare l’accesso da remoto a ampi ‘giacimenti’ di risorse informative, ha prodotto tecnologie più raffinate che possono consentire la messa in rete degli archivi garantendo la contestualizzazione dei documenti in senso lato. Una contestualizzazione che ricostruisce attorno al singolo documento d’archivio sia la rete che lo lega agli altri documenti dello stesso archivio sia il paratesto che lo circonda: viene cioè ricostruito virtualmente il ruolo di mediazione esercitato da archivi e archivisti tra documenti e utente.

L’innovazione è dunque entrata negli archivi; forte è adesso l’attenzione verso gli standard descrittivi ma anche verso gli standard semantici. La tecnologia del web, sotto la spinta della sua crescita esponenziale ma caotica, spinge verso soluzioni che consentano un controllo della qualità dell’informazione recuperata; si parla adesso di costruzione di un ‘web semantico".

Per gli archivi si apre una fase molto interessante: non solo si avvia la messa su web di archivi con applicativi sofisticati che consentano di contestualizzare in modo evidente di singoli documenti ma si cerca di andare anche più avanti. Ora si punta all’interconnessione tra più archivi e quindi a ricostruire la rete di rapporti che legava tra loro le diverse istituzioni o le diverse persone. L’archivio non è una monade, ma diventa nodo di una rete logica di archivi simili.

La giovane donna scoperto questo, si domanderà: va bene, ma gli archivi delle donne? Le sarà risposto: sono pochi quelli presenti su Internet, ma non sono molti quelli individuati. Nel 1996 un sommario censimento fatto dal Centro donne lavoro cultura di Genova che ha coinvolto solo i Centri donna (e non tutti), ha evidenziato circa 70 fondi archivistici; ma mancano a quell’appello molti archivi UDI e molti altri. E siamo solo in ambito di archivi contemporanei. E’ certo che un censimento dettagliato ne farebbe emergere molti altri presenti in associazioni, partiti, sindacati, camere del lavoro ma anche in biblioteche e archivi.

Certamente se volessimo aiutare questa giovane ricercatrice, e anche tutte le altre giovani o meno giovani interessate ad indagare la nostra storia, sarebbe indispensabile promuovere questa ricerca. Sarebbe l’unico modo per evitare che carte e documenti di donne vadano dispersi per incuria o per disconoscimento della loro importanza: Linda Giuva ricordava a questo proposito la difficoltà delle donne "ad accettare se stesse come produttrici di storia" e quindi a decidere di conservare le proprie carte.

Un dettagliato censimento degli archivi di donne potrebbe consentire di avviare una politica programmata di conservazione e di inventariazione che veda la collaborazione tra associazioni, enti locali, Regioni e Ministero Beni culturali dando valenza scientifica e omogeneità al lavoro.

Un gruppo di lavoro sugli archivi delle donne è stato nominato dal Ministero beni culturali dopo il convegno Gli archivi al femminile del gennaio 2001: uno dei suoi primi compiti potrebbe essere l’avvio di questo censimento in collaborazione, naturalmente, con le Regioni. Un intervento di questo tipo avrebbe anche l’effetto di sensibilizzare molte altre donne a donare i propri archivi per evitare, usando le parole di Annarita Buttafuoco, "che si perda memoria – da parte delle donne, delle comunità e delle società nel loro insieme – del ruolo svolto da singole e da gruppi circa la ridefinizione della cittadinanza sociale e politica e quindi della politica stessa" .

Molti casi interessanti si sono avuti in questi ultimi anni di collaborazione tra istituzioni locali e associazioni di donne per iniziative di recupero e valorizzazione di archivi. La Regione Emilia Romagna collabora con i vari archivi UDI regionali per il riordino e la valorizzazione dei loro fondi. Recentemente la Commissione Pari opportunità della Provincia di Torino ha sostenuto il riordino del archivio Zumaglino. L’Associazione Gruppo 7 – Donne per la pace di Mantova ha depositato il suo archivio all’Archivio di Stato ed assieme hanno organizzato una interessante giornata di studio. E’ previsto un simile deposito anche da parte Emma Baeri per il materiale del Coordinamento per l’autodeterminazione della donna di Catania. L’Archivio di Stato di Firenze e l’Associazione Archivio per la memoria e la scrittura delle donne, con il contributo della Regione Toscana, ha avviato in progetto di censimento degli archivi delle donne presenti in Toscana che va di pari passo con iniziative di sensibilizzazione (seminari, presentazioni, mostre) su questo tema, e da quando si è avviata l’iniziativa sono stati lì depositati diversi nuovi archivi personali. A Milano gli Archivi riuniti delle donne, fondati da Annarita Buttafuoco, hanno collaborato con la Regione Lombardia alla redazione di un manuale per il trattamento degli archivi personali; la Fondazione Elvira Badaracco, con il contributo di un progetto Cultura 2000, sta riordinando l’archivio della Libreria delle donne di Milano e del Centro di studi sul movimento di liberazione della donna in Italia ed ha tenuto recentemente un seminario riflessione sul trattamento di tali materiali. A Roma gli Archivi storici delle donne Camilla Ravera raccolgono fondi di donne comuniste e svolgono una intensa attività di promozione. Infine la Rete Lilith che collega 33 Centri donna italiani, sta lavorando alla messa in rete dei loro archivi e dei loro materiali documentari.

Potremmo dire alla nostra giovane ricercatrice che molte sono quindi le iniziative in corso per recuperare gli archivi delle donne ma è urgente individuare un raccordo autorevole che garantisca scientificità degli interventi di riordino. E’ urgente un coordinamento tra Ministero Beni culturali, Regioni e le associazioni che possiedono archivi per definire un programma di valorizzazione di questo patrimonio basato su standard comuni, condivisione di esperienze, formazione del personale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.